
cultura
Voci Ribelli: donne con “il coraggio di pensare”
Un viaggio condiviso tra storie negate e sguardi che ribaltano la storia
Gravina - giovedì 25 settembre 2025
9.24
Sfogliando i manuali di scuola, nello scrosciante susseguirsi di pagine che li compongono, è sempre stato difficile incontrare nomi di donne considerate alla stregua dei moltissimi uomini illustri che hanno scritto le pagine della storia dell'umanità o ridefinito la nostra comprensione dello scibile. Questo non significa che non ci siano state donne argute e meritevoli di essere ricordate, ma che i loro nomi sono stati spesso oscurati, la loro rilevanza schiacciata dai pregiudizi e dai costrutti sociali che le confinavano.
Una possibilità di riscatto per alcune di queste donne è data da "Filosofe", opera della docente e filosofa Francesca Romana Recchia Luciani, presentata nei "Dialoghi nella Murgia" nel contesto dell'intervento "La decostruzione del canone androcentrico del logos occidentale".
Come di consueto nei "Dialoghi nella Murgia", è stato Filippo Tarantino, presidente della Fondazione Santomasi, a introdurre la serata, aprendo lo spazio a una riflessione che ha il coraggio di rimettere in discussione le fondamenta stesse del passato e proporne un ribaltamento critico.
Partendo dall'Illuminismo, epoca in cui le donne iniziano timidamente a reclamare parola e presenza, il discorso si è snodato attraverso dieci voci potenti, irregolari, spesso dimenticate. Voci che non hanno solo pensato il mondo, ma lo hanno vissuto con radicalità, pagando con l'esilio, con il dolore, con l'ostracismo.
Lou Salomé, idealista e pensatrice indipendente, troppo spesso ridotta al ruolo di musa, ha attraversato la filosofia, la letteratura e la psicoanalisi con uno sguardo libero, innamorato della vita. Maria Zambrano, costretta a un lungo esilio tra Europa e America Latina, ha fatto della poesia la forma più alta del suo pensiero. Hannah Arendt ci ha restituito la pluralità come nomos del mondo con il suo celeberrimo "La banalità del male". Simone de Beauvoir, il cui nome è spesso associato, talvolta messo in secondo piano, a quello del marito Jean Paul Sartre, afferma che "non si nasce donna, ma lo si diventa", costruendo un'etica che sfida i ruoli sociali prestabiliti.
Simone Weil ha fatto della filosofia un atto incarnato, scegliendo di lavorare in fabbrica per comprendere realmente la condizione operaia. La sua è una filosofia del vissuto, smantellando il preconcetto secondo cui il pensiero sia solo astrazione. Ágnes Heller, sopravvissuta ai totalitarismi del XX secolo, continua a denunciare derive autoritarie, incluse quelle contemporanee nel suo paese d'origine, ha perciò basato il suo pensiero su un'etica dell'individuo che resiste al potere.
Carla Lonzi, brillante allieva di Roberto Longhi, ha lasciato la storia dell'arte per diventare una delle voci più influenti del femminismo italiano. Con "Sputiamo su Hegel" ha rivendicato l'autonomia del pensiero femminile. Audre Lorde, poetessa e attivista afroamericana, ha saputo unire poesia, identità e militanza. Si definiva madre, nera, lesbica, guerriera, poeta. La sua poesia "Litania per la sopravvivenza" è stata letta durante l'incontro, vibrando tra le pareti come un inno di resistenza e amore. Silvia Federici, filosofa e attivista, ha mostrato come il lavoro domestico femminile – spesso invisibile – sia stato la base non retribuita dell'economia capitalista. In "Calibano e la strega" smaschera il legame tra caccia alle streghe, colonialismo e sfruttamento del corpo femminile.
Judith Butler, infine, ha aperto la filosofia contemporanea alle domande urgenti del corpo, del genere, della giustizia. È forse la più influente filosofa contemporanea, e le sue posizioni forti e la sua voce critica l'hanno resa una figura centrale, a volte scomoda, del nostro tempo.
Il pubblico, coinvolto e partecipe, ha contribuito con riflessioni e domande che hanno reso la serata un autentico scambio di sguardi sul mondo.
Non si tratta solo di aggiungere nomi ad una lista, ma di cambiare sguardo. Queste filosofe non si inseriscono in una storia, la piegano, la trasformano, la riscrivono. Portano la carne nel pensiero, la voce nella teoria, la vita nella filosofia. E ci mostrano che il sapere, per essere autentico, deve partire da chi siamo, da dove siamo, da cosa ci attraversa.
Una possibilità di riscatto per alcune di queste donne è data da "Filosofe", opera della docente e filosofa Francesca Romana Recchia Luciani, presentata nei "Dialoghi nella Murgia" nel contesto dell'intervento "La decostruzione del canone androcentrico del logos occidentale".
Come di consueto nei "Dialoghi nella Murgia", è stato Filippo Tarantino, presidente della Fondazione Santomasi, a introdurre la serata, aprendo lo spazio a una riflessione che ha il coraggio di rimettere in discussione le fondamenta stesse del passato e proporne un ribaltamento critico.
Partendo dall'Illuminismo, epoca in cui le donne iniziano timidamente a reclamare parola e presenza, il discorso si è snodato attraverso dieci voci potenti, irregolari, spesso dimenticate. Voci che non hanno solo pensato il mondo, ma lo hanno vissuto con radicalità, pagando con l'esilio, con il dolore, con l'ostracismo.
Lou Salomé, idealista e pensatrice indipendente, troppo spesso ridotta al ruolo di musa, ha attraversato la filosofia, la letteratura e la psicoanalisi con uno sguardo libero, innamorato della vita. Maria Zambrano, costretta a un lungo esilio tra Europa e America Latina, ha fatto della poesia la forma più alta del suo pensiero. Hannah Arendt ci ha restituito la pluralità come nomos del mondo con il suo celeberrimo "La banalità del male". Simone de Beauvoir, il cui nome è spesso associato, talvolta messo in secondo piano, a quello del marito Jean Paul Sartre, afferma che "non si nasce donna, ma lo si diventa", costruendo un'etica che sfida i ruoli sociali prestabiliti.
Simone Weil ha fatto della filosofia un atto incarnato, scegliendo di lavorare in fabbrica per comprendere realmente la condizione operaia. La sua è una filosofia del vissuto, smantellando il preconcetto secondo cui il pensiero sia solo astrazione. Ágnes Heller, sopravvissuta ai totalitarismi del XX secolo, continua a denunciare derive autoritarie, incluse quelle contemporanee nel suo paese d'origine, ha perciò basato il suo pensiero su un'etica dell'individuo che resiste al potere.
Carla Lonzi, brillante allieva di Roberto Longhi, ha lasciato la storia dell'arte per diventare una delle voci più influenti del femminismo italiano. Con "Sputiamo su Hegel" ha rivendicato l'autonomia del pensiero femminile. Audre Lorde, poetessa e attivista afroamericana, ha saputo unire poesia, identità e militanza. Si definiva madre, nera, lesbica, guerriera, poeta. La sua poesia "Litania per la sopravvivenza" è stata letta durante l'incontro, vibrando tra le pareti come un inno di resistenza e amore. Silvia Federici, filosofa e attivista, ha mostrato come il lavoro domestico femminile – spesso invisibile – sia stato la base non retribuita dell'economia capitalista. In "Calibano e la strega" smaschera il legame tra caccia alle streghe, colonialismo e sfruttamento del corpo femminile.
Judith Butler, infine, ha aperto la filosofia contemporanea alle domande urgenti del corpo, del genere, della giustizia. È forse la più influente filosofa contemporanea, e le sue posizioni forti e la sua voce critica l'hanno resa una figura centrale, a volte scomoda, del nostro tempo.
Il pubblico, coinvolto e partecipe, ha contribuito con riflessioni e domande che hanno reso la serata un autentico scambio di sguardi sul mondo.
Non si tratta solo di aggiungere nomi ad una lista, ma di cambiare sguardo. Queste filosofe non si inseriscono in una storia, la piegano, la trasformano, la riscrivono. Portano la carne nel pensiero, la voce nella teoria, la vita nella filosofia. E ci mostrano che il sapere, per essere autentico, deve partire da chi siamo, da dove siamo, da cosa ci attraversa.
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