Levatrice
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Mestieri e società

LA LEVATRICE - la mammêre

Rubrica "Mestieri e società" a cura di Michele Gismundo e Giuseppe Marrulli

Corri, corri, vai a chiamare la levatrice, la mammêre! Vai a chiamare Giuseppina! Giuseppina Merolla (classe 1931) è stata sempre l'immagine della donna attiva nel lavoro e nella famiglia. Coniugata con Francesco Mindicini, ha messo al mondo due figli: Domenico e Michele. In qualità di levatrice ha fatto nascere migliaia di bambini in cinquant'anni di operosità - dal 1953 ai primi anni del terzo millennio - che in buona parte hanno coinciso con l'epoca dei boomers, quando la popolazione gravinese passò dai ventotto mila abitanti del 1951 ai quarantadue mila del 2001, al netto delle ondate migratorie. È stata una levatrice di primati; basti pensare che in un giorno di febbraio di quegli anni di crescita spasmodica ne prese ben trentaquattro.

Allora a Gravina erano in attività molte levatrici: Ninetta Digena, donna Felicetta Ambrosecchia alla quale fece seguito la nipote Faustina Ambrosecchia, Teresa Barbara vissuta fino a novantaquattro anni, Agnese Buonamassa, Teresa De Natale, Lucia Vicino e Franca Cassano. Senza dimenticare tale donna Peppinella vestita sempre a puntino, tanto da aver lasciato il detto popolare "Ti sei vestita come donna Peppinella!" per esprimere un giudizio sul modo di abbigliarsi di alcune donne.

Quella di ostetrica è una professione a tutti gli effetti e la nostra Giuseppina Merolla si diplomò alla scuola di Ostetricia di Bari, diretta dall'illustre professore universitario Giacomo Aymerich dei Marchesi di Laconi, il 3 luglio 1952. Prima ancora era stata impiegata nell'azienda pubblica dei telefoni, che a Gravina aveva la sede affianco alle Poste all'angolo del blocco tra lo storico orologio e la scuola media.

Nel periodo della ricostruzione postbellica la società gravinese contava numerose famiglie allargate, nelle quali i genitori anziani abitavano insieme ai figli, perciò quando arrivava la levatrice si facevano trovare in casa molti aiutanti: la mamma e la suocera della partoriente, la comare di fede che in seguito avrebbe battezzato il bambino, qualche vicina di casa. Tutte rigorosamente donne, in quanto taluni giovani mariti ebbero sì il fegato di assistere all'evento ma vennero subito meno nell'animo e nel fisico. Di certo la scena non era molto rassicurante: i vapori dell'acqua in ebollizione, le lenzuola candide stese sul tavolo, la litania incalzante delle comari spingi, spingi, i ferri sterilizzati e le manovre della levatrice, se non ispiravano più ormai impressioni di stregoneria come nei secoli passati, attentavano sicuramente alla capacità di resistenza degli uomini di casa.

Le situazioni che la levatrice trovava erano le più disparate: bambini già usciti dal grembo materno, posizioni podoliche, di faccia o di fronte, neonati deformi. Nei casi più gravi - per i quali si chiedeva l'intervento del medico di famiglia - si poteva incorrere nel decesso del bambino o della mamma per emorragia. Insomma bisognava mettere in conto qualche rischio. Le donne partorivano non solo sul letto, che doveva essere duro, ma in più casi sulla tavola della cucina che era più indicata per agevolare l'intervento.
La mammêre disinfettava con l'alcool il bacino d'argilla o di ferro smaltato, u vacile, ed estraeva dalla borsa i ferri del mestiere, tra cui due pinze per il cordone ombelicale, l'apposito anellino di gomma per legarlo e un paio di forbici. Tutto sterilizzato con l'acqua calda preparata sul gas o sui carboni, sia d'inverno che d'estate. Le donne presenti davano una mano e, soprattutto, davano coraggio alla partoriente. Lo stesso giorno e, qualche volta, il giorno successivo la levatrice si recava al Comune per far registrare la nascita all'anagrafe. La paga della levatrice era dignitosa, anche se basata sull'offerta libera delle famiglie; a tale paga si aggiunse, in seguito, la somma di settemila lire a parto corrisposta dall'INAM. Giuseppina riferisce che la sua attività, svolta con passione e grande dispendio di energie, le ha consentito di contribuire degnamente, insieme al marito, al mantenimento della famiglia e al consolidamento della posizione sociale. "Tornata a casa alle otto di sera. Ho fatto i letti, lavato i piatti, spazzato casa e preparato cena. Mi sento un poco affaticata" (U. L. Thatcher, A midwife's tale).

Fatto sconto degli agi di chi navigava in acque migliori, nella prima metà del Novecento fino al secondo dopoguerra, si sa che la povertà era ancora protagonista in molte case di contadini e pastori. La donna collaborava fattivamente con il marito nei lavori dei campi e si faceva scrupolo di riposare solo qualche settimana prima di partorire. Storia sociale d'altri tempi in cui le donne si facevano assistere in casa dalla levatrice. In linea con il livello di conoscenze in campo medico-scientifico di quei tempi, la mortalità infantile e i casi di decesso delle partorienti presentavano statistiche poco incoraggianti, soprattutto quando queste facevano il paio con evidenti carenze in fatto di igiene, prevenzione e adeguato supporto economico. La levatrice, chiamata in questo modo perché era in grado di levare il neonato dal corpo della donna incinta, era agli albori del secolo una donna anziana, amica della partoriente, che veniva chiamata in virtù dell'esperienza accumulata. Non aveva certo un titolo di studio - almeno fino alla legislazione di fine ottocento che promosse apposite scuole di ostetricia - e aveva imparato l'arte da sua madre, da sua nonna. Era tradizione che le figlie delle levatrici diventassero esse stesse levatrici. Nonostante i rischi che comportava a quei tempi, il parto in ambiente famigliare denunciava carattere di sacralità che ormai si è persa nel tempo. La levatrice in qualche modo entrava a far parte della famiglia in quanto non esauriva il suo compito al momento della nascita, ma ricopriva un ruolo importante anche durante la crescita del bambino fungendo da nonna. Oggi l'ostetrica, come abbiamo già detto, svolge una vera e propria professione, non più un mestiere. È in possesso di laurea ed è iscritta all'opposito Albo e svolge la sua attività in strutture sanitarie, pubbliche o private, o come libero professionista. Opera nei consultori, dove oltre ad essere un costante punto di riferimento per le donne, gravide e non, esegue visite in gravidanza, corsi di accompagnamento alla nascita, sostegno all'allattamento e segue la riabilitazione. C'è tanta voglia, oggi, di riscoprire quella naturalità del parto, ormai persa negli anni e recentemente si è formato un ampio consenso riguardo al ricorso al parto domiciliare.

Fonte:
Libro di Michele Gismundo - Giuseppe Marrulli, MESTIERI E SOCIETA' nel Novecento a Gravina in Puglia, ed. Algramà, Matera 2023. Illustrazione di Marilena Paternoster
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a cura di Michele Gismundo e Giuseppe Marrulli

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