Sacrestano
Sacrestano
Mestieri e società

IL SACRESTANO - u sagrestêne

Rubrica "Mestieri e società" a cura di Michele Gismundo e Giuseppe Marrulli

Il sacrestano era la persona incaricata di tenere in ordine la sacrestia, la chiesa e il loro contenuto. In senso lato, occorre aggiungere, era ritenuto la persona di fiducia del parroco e, pertanto, il depositario di tutti i segreti della parrocchia, faceva pure l'interlocutore di primo impatto fra la comunità e il sacerdote.

Fino agli anni settanta i sacrestani sono stati personaggi caratteristici dell'ambiente locale. Avevano pretese di comando nella chiesa, in quanto tentavano di influenzare il parroco nell' organizzazione dell'attività liturgica e non solo. Facevano di tutto: portinai, campanari, chierichetti, guardiani della chiesa e quasi sempre erano associati a una confraternita religiosa.
La giornata del sacrestano iniziava alle prime luci dell'alba. Preparava la chiesa per la prima messa del giorno, accendeva i ceri e le candele, aiutava il prete a indossare la pianeta, assisteva il sacerdote durante la messa, raccoglieva le offerte dei fedeli. Era indaffarato nelle pratiche dei funerali e dei matrimoni. La sua paga non era certo sufficiente a mantenere la famiglia, tanto che il sacrestano faceva ricorso ad altri espedienti, come quello di affittare la sedia ai fedeli anziani prima della messa. Aveva necessità di svolgere un secondo lavoro. Imparava a conoscere il carattere e il modo di agire del suo sacerdote. Era piuttosto riservato nelle relazioni esterne, persona semplice, spesso afflitta da non buone condizioni di salute, eppure capace di suscitare attenzione e di guadagnarsi la considerazione del prossimo.

Tuttavia, in qualche caso i fedeli si lamentavano della sua condotta e lo riferivano al prete in confessione. Una volta in paese una donna raccontò al parroco che il sacrestano, durante il giro della benedizione pasquale delle case, aveva sottratto cinque uova dal paniere del prete e le aveva nascoste nella tasca della giacca. Sorpreso ed arrabbiato, il prete diede del mariuolo al sacrestano destituendolo dall'incarico di accompagnatore nel rito della benedizione.

Il sacrestano non sempre suonava di buon grado le campane, specie quella più grande. Era una fatica vera e propria. Si può dire che oggi la figura del sacrestano è pressoché scomparsa, ne restano pochissimi, concentrati nelle chiese più grandi e perciò più bisognose di cure quotidiane. Oggi il suo lavoro è tutelato e retribuito come da contratto. Per risparmiare, la chiesa ricorre al volontariato dei parrocchiani.

Sacrestano della Cattedrale Santa Maria Assunta di Gravina è stato per un quarantennio, dagli anni trenta ai settanta del Novecento, Vincenzo Rinaldi (1907-1975), chiamato cordialmente Vincenzino. Era andato a nozze con Maria Raffaella Puzziferri (vissuta fino a novantacinque anni) che gli aveva regalato tre figli: nell'ordine Angela, Michele e Lorenzo. La famiglia è rimasta unita e fedele agli ideali paterni di dedizione alla Chiesa e ai valori di educazione cristiana e di onesto lavoro. Nella loro grande abitazione di via San Giovanni Evangelista i fratelli Rinaldi crebbero e si istruirono degnamente, sebbene con indirizzi diversi: Michele conseguì il diploma di perito industriale e si trasferì, dopo il matrimonio, ad Altamura; Lorenzo si laureò in chimica e risiede attualmente a Perugia. La figlia maggiore Angela, secondo i costumi dell'epoca, studiò fino alla terza media e fu avviata ai compiti di madre di famiglia e ultima tutrice dell'anziana mamma. Quella casa doveva essere veramente spaziosa se il buon cuore di Vincenzino decise di dare accoglienza all'ultima discendente di una famiglia che si era ormai completamente estinta.

Vincenzino era rimasto orfano di entrambi i genitori all'età di vent'anni e dovette prontamente attivarsi per imparare l'arte che gli avrebbe consentito di sopravvivere e di crearsi un proprio focolare. Cominciò a fare il barbiere e contemporaneamente imparò, da autodidatta, a suonare il clarinetto e, col tempo, la sua passione per la musica fu tale che si ritrovò a fare il Capo della Banda cittadina, nella quale risuonava persino il tamburo di mèste Gàspere. Suo fratello Gennaro era all'epoca il sacrestano della Cattedrale e se lo portava sempre appresso. Finì con l'appassionarsi ai compiti che avrebbe poi svolto anche lui in quella basilica, sotto l'insegnamento di don Giovanni Ariani.
L'apprendistato e le sue innate capacità furono i presupposti per assumere dopo qualche tempo quella funzione. Nel 1931, l'8 settembre, nella ricorrenza della Madonna delle Grazie si sottopose a un intervento chirurgico ai reni. L'intervento andò bene e, per devoto ringraziamento, fece arrivare da Roma una bella statua della Madonna che donò alla chiesa della Madonna delle Grazie. La statua fece transito dapprima nella chiesa di Santa Maria delle Domenicane in attesa che fossero completati i lavori di restauro nella chiesa di destinazione. In questa, si occupava ogni anno dell'organizzazione della festa della Protettrice, fino all'insediamento del nuovo parroco don Angelo Casino. La sua attività gli consentì di allacciare ottime relazioni con i vescovi dell'epoca: Monsignor Fra' Giovanni Maria Sanna e Monsignor Aldo Forzoni. Conobbe anche il canonico don Domenico Parrulli al quale era molto affezionato.

Vincenzino fu testimone di un avvenimento singolare raccontato, all'epoca, alla sua famiglia e fino ad oggi mai rivelato ad alcuno. A metà degli anni Trenta venne in visita al sacerdote don Saverio Valerio un gruppo di napoletani, tra cui una signora che era afflitta da un perenne singhiozzo, che non cessava mai, notte e giorno. Uno di loro, a conoscenza dell'ammirevole professione di fede del sacerdote, impetrò la grazia divina per quella sofferente. Don Saverio, sensibile e umano come sempre, rassicurò quell'uomo mettendogli una mano sulla spalla; quindi si stese faccia a terra nella chiesa di Santa Sofia e pregò ininterrottamente per ore e ore. Avvenne che la signora partì da Gravina senza più alcun singhiozzo.

Per il lavoro di sacrestano Vincenzino non riscuoteva uno specifico compenso, se non offerte volontarie. Doveva pertanto svolgere altri compiti che potevano fornire qualche piccolo tornaconto: si occupava della festa di San Michele Arcangelo, il Santo Patrono celebrato il 29 settembre, e di quella minore di San Michele delle Grotte l'8 maggio nonché di quella del SS. Crocifisso. Inoltre faceva l'amministratore del convento delle Carmelitane Scalze in via Abrazzo D'Ales, suore che poi traslocarono nei nuovi locali adiacenti alla chiesa della Madonna delle Grazie. In compenso le sorelle si sdebitavano, riconoscenti, donando torte e biscotti a Pasqua e a Natale. Solo quando diventò anziano, negli anni Cinquanta, la diocesi riconobbe i contributi previdenziali. Le sue occupazioni da sacrestano erano numerose; in particolare aveva in custodia gli oggetti e i paramenti sacri appartenuti a Papa Benedetto XIII e prestava cura e attenzione al buon mantenimento di tutte le opere d'arte esposte nella sacrestia, delle quali conosceva tutta la storia che descriveva prima di tutti ai suoi tre figli, quando li portava con sé in occasione della festa patronale.

Fonte:
Libro di Michele Gismundo - Giuseppe Marrulli, MESTIERI E SOCIETA' nel Novecento a Gravina in Puglia, ed. Algramà, Matera 2023. Immagine da sito web senza diritti di copyright.
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