Il pastore
Il pastore
Mestieri e società

IL PASTORE - U pastaure

Rubrica "Mestieri e società" a cura di Michele Gismundo e Giuseppe Marrulli

Il pastore, u pastaure svolgeva il suo lavoro nell'azienda armentizia e doveva seguire, a pena di licenziamento, una particolare organizzazione. A capo dell'azienda vi era il massaro di pecore, u massêre de le péchere, il diretto responsabile verso il padrone, al quale era attaccato da spirito di fedeltà e devozione. Il massaro dava gli ordini ai pastori, manteneva la disciplina, decideva il luogo dove far pascolare il gregge, concedeva ai pastori il permesso di tornare in famiglia dopo le quindicine, le quinecine. Collaborava con lui u sottamassêre, il quale vigilava in particolare sulla mungitura delle pecore. I pastori accompagnavano le mòrre di pecore ai pascoli, mungevano il latte, assistevano le pecore figliate, tosavano e passavano gran parte della vita in mezzo al gregge. I pastori, nella durezza degli addiacci, tra le pecore miti e i cani feroci, tra i pascoli non partecipavano al dinamismo della vita. Erano adusati dalla piccola età a tutte le asprezze dell'esistenza, alla parsimonia, alle intemperie, alle privazioni, erano rari quelli che frequentavano le scuole e perciò l'analfabetismo era più diffuso tra i pastori che negli altri ceti sociali.

La mattina all'alba il pastore preparava tutto l'occorrente per la giornata: il bastone, il cappello, il tascapane. I cani lo attendevano, puntuali, all'uscita dalla masseria. Si faceva coraggio, scagliava pietre in lontananza, gridando con una certa cadenza. L'immensa distesa della campagna, la murgia qui da noi, incuteva un senso di mistero. I cani lo circondavano intorno, annusando i suoi piedi. Si spingeva con il suo gregge sull'altura per poi tornare a valle. Il sole, le pecore, le pietre, i cani, gli uccelli, i corvi, i falchi, il cielo, un gran silenzio. Il fruscio delle erbe, un modesto ronzio di mosconi riempivano la sua solitudine. In estate il sole spaccava le pietre, e il pastore, seduto su uno dei tanti massi, guardava le pecore al pascolo.

Silenzio e semplicità, questa è, ancora oggi, la colonna sonora della vita del pastore. Alla solitudine i pastori si abituavano. E quando calava la sera si affrettavano con il gregge a rientrare nella masseria. La giornata non era ancora finita, bisognava mungere le pecore, bisognava sistemare gli animali nell'ovile. E a tarda sera si andava a letto, dopo una cialda calda jnde o cravàtte, un pezzo di formaggio e un bicchiere di vino.
Nelle masserie, per i pastori, non c'erano letti, ma solo pagliericci, u scarajazze, sacchi pieni di paglia per dormire. I pastorelli trovavano posto nelle mangiatoie, di solito a destra della porta d'ingresso di vecchie costruzioni in tufo, come in quasi tutte le lamie di campagna. Ragnatele dappertutto e libero accesso per galline, cani e gatti. Nello stanzone, lungo le mangiatoie, spranghe di ferro nel muro. Servivano da attaccapanni e per appendere le bisacce. Sotto la volta, al centro, era situato un grosso anello di ferro. Lì, a volte, venivano appese le bisacce, irraggiungibili dai topi. I padroni delle masserie non erano stinchi di santo né galantuomini, si erano arricchiti nel periodo precedente comprando diversi tomoli di terreni e masserie, sfruttando la povera gente. I padroni pretendevano il don, anche se a mala pena riuscivano a mettere insieme qualche parola. Per convenienza, spesso, assumevano piccoli pastori, senza tariffa e senza nessun obbligo di libretti, di contributi, di niente. Braccia a buon mercato. Le trattative per l'ingaggio avvenivano normalmente in piazza, a Gravina in piazza delle Some oggi piazza Notar Domenico, dove stazionavano i braccianti, secondo un rituale semplice ed essenziale. L' offerta dei padroni alle famiglie dei pastorelli era una contropartita di derrate alimentari. L'ingaggio durava di solito dodici mesi. Una vera e propria tratta dei calzoni corti, che avveniva di solito nel mese di agosto. Questi ragazzi-pastorelli finivano tra le pecore, insieme ad un pastore più grande, e badavano a tutto.

La giornata iniziava all'alba e finiva al tramonto, quando rientravano con il gregge. Di scuola, naturalmente, non se ne parlava affatto. Per i pastori non c'erano diritti, non c'erano festività. Avevano il permesso di lasciare il gregge in campagna e di venire in paese solo per il tempo del concerto della banda in piazza alla festa del Santo Patrono, praticamente la nottata della festa. E all'alba, via di nuovo in campagna a pascolare. Molte nenie armoniose e commoventi sono state scritte e cantate sulla vita dei pastori; ad esempio molti ricordano a Gravina il canto popolare u pastoure, dei fratelli Saverio e Andrea Cicolecchia.

Non può sfuggire la realtà odierna degli schiavi-pastori venuti dal mare. Un esercito visibile nelle campagne ma invisibile nelle carte ufficiali. Il numero degli immigrati impiegati come pastori nelle aziende agro-pastorali è altissimo. Il loro lavoro, per pochi spiccioli e molta fatica, tiene in piedi le tante aziende disseminate in Italia e nel Mezzogiorno in particolare. Pastore il nonno, pastore il figlio e pastore il nipote. Tre generazioni si sono spese percorrendo le lande pietrose della murgia, a contatto con la natura e con le pecore.

Oggi Paolo Lorusso porta la qualifica di allevatore, in quanto governa trecentocinquanta pecore, cinque capre, maiali, asini, diciassette mucche da carne, papere e galline. Questo mondo animale è ospitato nella masseria Lama Reale in agro di Ruvo di Puglia dove la famiglia si è stabilita da trent'anni a questa parte, lasciando l'abitazione di Gravina. Lo spostamento è stato necessario in quanto, prima del trasloco, il furto di animali e di mezzi agricoli era piuttosto frequente. I Lorusso sono corsi ai ripari stipulando innanzitutto un costoso contratto di vigilanza esterna, dopo, con forte determinazione, hanno deciso di vivere in masseria.
L' azienda si occupa della trasformazione del latte ovino misto a caprino, ottenuto in loco, in prodotti caseari: ricotta, formaggio primo sale, formaggio fresco e stagionato da grattugiare, scamorze e mozzarelle con latte vaccino, scamorzoni da mangiare semi freschi e da grattugiare. Con un'estensione di centottanta ettari di seminativi, ai quali si aggiungono, a otto chilometri di distanza da Lama Reale, altri cento ettari di bosco che gli uomini di casa Lorusso stanno ripulendo e delimitando con muretti a secco. L' azienda, rientrante per intero nel Parco Nazionale dell'Alta Murgia, produce anche cereali e legumi (lenticchie, fagioli, ceci e fave sgusciate). La zona è frequentata dai cinghiali, che non solo costituiscono un pericolo per le macchine e le persone ma divorano anche le piantagioni. Nessun intervento pubblico finora ha potuto scongiurare gli assalti o contribuire economicamente alla riparazione dei danni. Paolo Lorusso (1954) è stato intervistato il 7 marzo 2023 nella sua masseria Lama reale in agro di Ruvo di Puglia. Il nostro pastore/allevatore Paolo ha sposato Grazia Quarto che ha avuto un ruolo determinante nella decisione di abitare in campagna, dove anche lei fornisce la sua collaborazione. In cambio il marito sa trovare le giuste accortezze per rendere felice quella donna, non lesinando trasferte in città per partecipare a matrimoni e altre feste, per unirsi agli amici al ristorante e per fare viaggi e crociere nei periodi di vacanza. Dalla loro unione sono nati quattro figli: Andrea, Enza, Paola e Pietro. I due maschi si sono assunti l'onere di coltivare i terreni e di svolgere gli altri lavori più faticosi, lasciando al genitore il compito di condurre al pascolo le greggi. Le femmine di famiglia hanno dato una mano in azienda fino a quando si sono maritate. Sicché queste risiedono in città, mentre i due maschi continuano ad abitare nella masseria.

Il figlio minore, Pietro, ha conseguito il diploma di Perito Agrario a Matera e si occupa dell'amministrazione dell'azienda e delle relazioni esterne, anche al fine di tenere d'occhio il mercato, l'evoluzione tecnologica del settore e le possibilità di inserirsi nei progetti pubblici di sviluppo dell'attività. Il profilo commerciale dell'azienda, per scelta della famiglia che è stata sempre attenta a minimizzare i costi, è orientato alla vendita diretta dei prodotti ai clienti che provengono da Bari e dai comuni vicini (Corato, Barletta, Gravina e Altamura). Nessun accordo di fornitura ai negozi e ad altri intermediari, per evitare i rischi commerciali - ricorrenti nel comparto - costituiti dai ritardi o dalle inadempienze nei pagamenti. Conseguenza di tale impostazione imprenditoriale è che i profitti non sono molto elevati, ma le entrate sono immediate e sicure. L'azienda, in altri termini, ha una buona capacità di autofinanziamento ed è in grado di reinvestire per la crescita dimensionale.

Si osserva, andando a visitare la masseria, il miglioramento dell'intera fattoria: i recinti separati per le pecore incinte, per le mamme e gli agnelli e per gli altri capi, la stalla per le mucche, altri locali per maiali, papere, asini e galline. La mungitura è ormai elettrica e nell'apposito spazio, u mùngeture come si chiamava una volta, si possono far entrare ventiquattro pecore alla volta. Nei tempi passati, quando si mungeva a mano, occorrevano tre persone che mungevano e altre due dietro che scacciavano le pecore appena munte. Allora si ricorreva anche ai pastori marocchini e albanesi. Ora la manodopera è tutta in famiglia.

Paolo Lorusso è stato avviato ai pascoli all'età di sette anni, quando accompagnava il padre che era pure un pastore e lavorava sulla murgia nell'azienda Jazzo Rosso, sulla strada per Altamura. Ha studiato fino alla seconda media, poi non ha voluto proseguire perché preferiva il lavoro libero all'aperto anziché stare seduto con la testa sui libri; del resto valutava la buona opportunità offerta dall'attività già avviata dal genitore. Per farsi le ossa, suo padre lo mandò dapprima a lavorare sotto padrone, all'età di undici anni. L'esperienza fu molto dura: si levava alle due di notte per mungere perché il lattaio passava alle quattro a ritirare il latte. Da allora ha continuato senza interruzioni a condurre le pecore sulla murgia. Poche le differenze con la giornata lavorativa odierna. Ora però si alza alle sei del mattino per avviare la mungitura delle pecore e delle vacche a mezzo della mungitrice elettrica. L' operazione termina all'incirca dopo due ore.
Il latte viene filtrato e conservato nel refrigeratore per essere utilizzato man mano che la produzione casearia lo richiede. L' allevamento produce da ottanta a cento litri di latte al giorno. A metà mattina le pecore escono per il pascolo guidate personalmente dal padrone che le segue a piedi o in macchina per sei o sette chilometri di marcia sulla murgia. Ne risente il sapore dei formaggi e anche il loro aspetto, il quale è più giallo nei mesi in cui l'erba è verde. La qualità migliore dei prodotti si ottiene nel periodo di Natale e nel mese di gennaio. Paolo rientra in masseria la sera alle diciotto oppure alle diciannove d'estate. Prima contava le pecore all'uscita e al rientro in ovile. Oggi le pecore hanno ormai imparato il percorso di rientro e da sole, senza gli stimoli del pastore, sanno arrivare alla masseria e sistemarsi nei loro recinti. Perciò oggi le pecore non vengono più contate.

La tosatura delle pecore, la carôse, viene effettuata a maggio, quando comincia a far caldo e quegli animali hanno bisogno di disfarsi del manto villoso. La tosatura viene eseguita con le macchine elettriche, a cura di un operaio chiamato appositamente da Ruvo, mentre una volta l'operazione richiedeva più tempo essendo effettuata a mano. La lana non è più riutilizzata né per imbottire materassi e cuscini né per confezionare le maglie. Mucchi di lana tosata aspettano inutilmente ai margini dei campi in attesa che qualcuno decida di venirseli a prendere. È vietato bruciarli. La vita del pastore non è affatto tranquilla e beata, come suggerirebbe l'immaginario della gente che si logora nel lavoro in città. Di episodi negativi ne sono successi nell'attività di Paolo Lorusso. Una mattina a Jazzo Rosso la nebbia era così fitta che il giovane pastore perse tutto il gregge. Le ricerche furono lunghe e piene di ansia. Soltanto nel pomeriggio le pecore furono ritrovate vicino ad Altamura. Un altro anno i lupi riuscirono a catturare due pecore subito dopo la tosatura, le trascinarono lontano dall'ovile e le scannarono. Dieci o quindici anni fa un fulmine colpì a morte un gruppo di cinquanta agnelloni.

A cosa pensa Paolo quando si aggira per la murgia pietrosa, senza alcuna compagnia umana, intento solo a guardare le pecore e i cani, a contatto con la brulla superficie che attraversa? È un interrogativo esistenziale, simile a quello che Leopardi fa pronunciare, rivolto alla luna dal suo Pastore errante, che conduce una vita simile a quella della luna: sorge in sul primo albore / move la greggia oltre pel campo, e vede / greggi, fontane ed erbe; / poi stanco si riposa in su la sera: / altro mai non ispera.
Il pastore invidia il suo gregge che non conosce la sua miseria e siede sull'erba quieto e contento, mentre lui è preso dal tedio e non riesce a trovar pace o loco. A distanza di tanti anni da quando ha cominciato, Paolo dice di pensare, in quei momenti di solitudine, a fare progetti per tirare avanti a salvaguardia prima della famiglia e poi dell'azienda. Ripercorre, in quei momenti di solitudine, tutte le esperienze vissute, durante le quali ha lavorato con tanta fatica svolgendo tre attività: con il trattore spietrava il terreno da coltivare, poi conduceva al pascolo le pecore e infine macinava le pietre estratte. Nella sua vita ha fatto qualche azzardo sul piano della resistenza fisica al lavoro e su quello degli investimenti aziendali. Ha coinvolto nei rischi anche i suoi figli. Ma l'obiettivo lo ha raggiunto, negli affetti come negli affari. Un obiettivo non molto ambizioso ma compatibile con le sue aspettative. È consapevole che, essendo l'azienda inserita nel Parco Nazionale dell'Alta Murgia, i limiti imposti per la conservazione di quel patrimonio paesaggistico sono funzionali e vanno rispettati.

Fonte:
Libro di Michele Gismundo - Giuseppe Marrulli, MESTIERI E SOCIETA' nel Novecento a Gravina in Puglia, ed. Algramà, Matera 2023. Immagine da sito web senza diritti di copyright.
  • Michele Gismundo
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