passeggiando con la storia - campo 65
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Passeggiando con la storia

Una base dell'esercito partigiano jugoslavo tra Gravina-Altamura

Rubrica “Passeggiando con la storia” a cura di Giuseppe Massari

Nella pagina del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus, il 20 maggio del 20219, è stato pubblicato uno scritto, una ricostruzione storica, a firma di Andrea Martocchia, del famoso Campo 65, posto sulla SS. 96 nel tratto di strada compreso tra Gravina e Altamura, in direzione della nostra città per chi proviene da Bari. Riprendo integralmente il testo dell'autore, per la parte che riguarda le genesi e lo sviluppo dell'intera struttura.

Sulla strada statale 96 Altamura-Gravina di Puglia, a sinistra per chi procede in direzione di Gravina, si trova un'area di notevole interesse storico, popolarmente denominata "ex campo profughi". La storia del sito è stata lunga e complessa: tra le altre cose esso fu adibito alla fine del 1943 e per circa un anno a centro di raccolta, riorganizzazione e addestramento dell'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia (NOVJ nell'acronimo serbocroato ovvero Narodno-Oslobodilačka Vojska Jugoslavije) .

Fonti locali attestano che già nel corso della I Guerra Mondiale nel sito furono tenuti prigionieri soldati dell'esercito austroungarico. Nell'Italia fascista, e precisamente dalla primavera del 1942 all'estate del 1943, esso entrò a far parte della rete dei campi di concentramento per prigionieri di guerra con il numero d'ordine 65 – da cui la sigla P.G.65. Vi furono internati circa 9 mila soldati inglesi, sudafricani e neozelandesi, su una capienza complessiva di 12 mila posti: era il più grande campo d'Italia (fonte: Associazione Campo 65).
Dopo l'8 Settembre, dapprima in sordina, poi ufficialmente a seguito degli accordi intercorsi tra Tito e Churchill (luglio 1944), il "campo di Gravina" venne destinato a centro di addestramento e inquadramento militare per gli antifascisti jugoslavi – ex prigionieri sulla Penisola italiana oppure provenienti da oltre Adriatico ed inviati in Puglia per cure mediche o con incarichi specifici – nonché per i non-jugoslavi desiderosi di partecipare alla Lotta Popolare di Liberazione (NOB, acronimo serbocroato equivalente alla locuzione italiana "Resistenza") nei Balcani combattendo, inquadrati nel NOVJ e in accordo con gli Alleati, sul territorio jugoslavo contro il nemico tedesco e le forze collaborazioniste.
Al termine della guerra il sito divenne un centro di raccolta profughi. Si trattava degli italiani rimpatriati dall'Africa (Tunisia, Eritrea, Egitto) e di quelli di Istria e Dalmazia. Nel novembre 1950 venne reso più funzionale a quest'ultimo utilizzo, in grado di ospitare 500 civili in 60 capannoni forniti di bagni, lavabi, banco cucina, con una sezione staccata di scuola elementare e asilo infantile e una palazzina di comando (fonte: barinedita.it). Fu chiuso nel 1962.

Il periodo "jugoslavo" del campo di Gravina-Altamura è ovviamente quello più importante dal nostro punto di vista, ma crediamo si possa considerare tale anche oggettivamente per gli storici, per almeno due motivi: 1) perché è quello del quale restano le tracce fisiche più preziose nel sito: veri e propri affreschi ed iscrizioni dei commissari politici jugoslavi, che descriviamo più avanti; 2) perché la sua memoria è la meno tutelata storiograficamente, come dimostra la mancata menzione nei testi italiani, specialmente di storici locali, che si occupano del sito.

In quel periodo il campo "di Gravina" – così definito, di solito, nelle memorie dell'epoca perché effettivamente più vicino a Gravina che non ad Altamura, del cui Comune oggi fa parte – era un nodo fondamentale nella vasta rete di strutture militari, diplomatiche e civili jugoslave installate in Puglia a seguito degli accordi tra gli Alleati. Una mappa (non esauriente) di tale rete è mostrata qui sopra. Nella stessa città di Gravina gli jugoslavi gestirono anche l'Ospedale cittadino, come attestato da una lapide tuttora lì presente (cfr. I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana).

Documenti d'archivio attestano che nel campo affluirono gran parte degli ex-prigionieri jugoslavi dei campi di concentramento della Penisola, spesso dopo aver partecipato alla Resistenza italiana con proprie formazioni (cfr. M2011), nonché ex prigionieri all'estero (Africa, Malta), combattenti ristabilitisi da ferite o malattia dopo le cure in ospedali pugliesi, personale militare e politico-diplomatico.

Parte degli jugoslavi presenti nel campo erano sloveni e croati delle zone (Venezia Giulia ovvero Litorale sloveno, Istria e Quarnero) entrate a far parte del regno d'Italia dopo la I Guerra Mondiale, perciò definiti "italiani alloglotti" dal regime fascista. Non furono pochi, comunque, nemmeno gli italiani "in senso stretto", confluiti nel campo per i motivi più vari e desiderosi di essere inquadrati nel NOVJ per ragioni ideologiche o per apprezzamento della efficacia e determinazione delle forze antifasciste jugoslave. Rapporti segreti dell'esercito regio, conservati negli archivi, dimostrano che le autorità italiane erano fortemente preoccupate di tali presenze e della "propaganda" svolta dagli jugoslavi verso i cittadini italiani, non solo a Gravina ma anche in altri importanti centri come Monopoli, e si rifiutavano di riconoscere il carattere volontario di tali rapporti preferendo classificare quei soggetti come "prigionieri" degli jugoslavi.

Il numero delle presenze nel campo nei mesi oscillò con picchi superiori alle 4000 persone, e considerato il fortissimo turn-over possiamo stimare il totale in circa dieci volte tanto. Tra i comandanti militari del campo si ricordano Franc Hocevar e Milan Kmet, tra le dirigenti del Partito Comunista (KPJ) con incarichi politici (tesseramento eccetera) menzioniamo Vida Tomsic e Vjera Kovacevic.

La funzione preminente del "campo di Gravina" dal punto di vista militare fu la riorganizzazione delle formazioni destinate a ri-attraversare l'Adriatico per combattere: è qui che vengono strutturate le ben cinque "Brigate d'Oltremare" (Prekomorske Brigade) dell'Esercito popolare jugoslavo che vengono via via inviate sui fronti jugoslavi, a partire dalla fine del 1943. Le attività che vengono svolte nel campo sono le più varie: corsi di lingua, di teatro, di musica (con relative performance), di guida dei veicoli (inclusi i carri armati), di uso di telefoni e ricetrasmittenti, di geografia e metereologia, di uso delle armi, artiglieria e aviazione, di infermieristica. Vi si trovano tutte le strutture necessarie alla vita civile, e poiché non sono rare le donne e i bambini esistono strutture per l'assistenza familiare, classi di asilo e scolastiche.
Alcune straordinarie testimonianze della fase "jugoslava" del campo sono tuttora visibili all'interno della baracca in muratura meglio conservata, quella in cui sopravvive una copertura (tetto a doppio spiovente). Su due archi interni a caratteri cubitali sono tuttora leggibili gli slogan inneggianti alla lotta di liberazione e all'alleanza antifascista: SMRT FAŠIZMU SLOBODA NARODU ("Morte al fascismo libertà al popolo", in lingua serbocroata) e ZIVELI NASI ZAVEZNIKI SSSR-ANGLIJA-AMERIKA ("Viva i nostri alleati URSS-Inghilterra-America", in uno sloveno un po' imperfetto).

Nella sala in cui appare la prima iscrizione (foto di seguito da 1 a 18) alla destra dell'arco sono presenti numerose tracce pittoriche parzialmente interpretabili. Nel muro che affaccia all'esterno sono presenti due vani-finestra, di cui uno murato; al di sopra di essi una scritta in stampatello viola apparentemente recita "PARTIZANSKI KOTIŠEK", cioè (in lingua slovena) "cantuccio partigiano" o "angoletto partigiano". Alla sinistra di essa un affresco rappresenta una figura a cavallo, che apparentemente brandisce una spada; al di sotto si legge un'altra scritta in corsivo: "PROSVETI ...". Ai due angoli è possibile ancora consultare due carte geografiche dipinte sui muri: l'una raffigura il fronte orientale ovvero l'Unione Sovietica (si leggono molti toponimi tra cui "Stalingrad"), l'altra riguarda lo scenario adriatico e comprende anche l'Italia. Sopra a quest'ultima mappa si nota un affresco con quattro bandiere – inglese, jugoslava, sovietica e statunitense – fra loro unite. Altri affreschi sono a malapena leggibili o di fatto sbiaditi.



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  • Giuseppe Massari
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