IL FORNAIO - U furnêre
IL FORNAIO - U furnêre
Mestieri e società

IL FORNAIO - U furnêre

Rubrica "Mestieri e società" a cura di Michele Gismundo e Giuseppe Marrulli

Il mestiere del fornaio ci riporta immediatamente all'immagine del pane. Il pane, indispensabile nella mensa quotidiana, è espressione nel contempo di ricchezza e di povertà. Il forno di cui stiamo discorrendo non è quello preso d'assalto nelle rivolte sociali in epoche storiche diverse. A Gravina nell'immediato dopoguerra, a causa del contrabbando e del razionamento delle derrate alimentari, si registrarono diverse manifestazioni di popolo che culminavano ogni volta nel saccheggio dei panifici (ad esempio quello del panificio Prezioso negli anni '43-'47) o nella requisizione dei beni alimentari di prima necessità, che venivano stipati nelle sezioni dei partiti politici per assicurarne la distribuzione alle famiglie dei militanti. Infatti i nostri fornai sono poveri artigiani che infornavano il pane fatto in casa dalle famiglie comuni.

Nel passato tutti i forni erano alimentati a legna. Il forno a legna era costruito con mattoni refrattari al calore e la base di appoggio era formata da grosse chianche, che avevano la funzione di assorbire il calore e trasmetterlo al pane per la cottura. Per la pulizia del forno veniva utilizzata un'asta, munita alla punta di un panno umido, per togliere i residui della cenere e delle impurità.

La vita del fornaio era molto sacrificata, si cominciava a lavorare quando tutti dormivano, cioè di notte. Il fornaio girava per il proprio rione, chiamando a gran voce le donne che dovevano impastare il pane, raccogliendo così le prenotazioni per le infornate. Le donne, svegliate di buonora dalla voce squillante del fornaio Uagnédde! Ci a va trumbè? si prenotavano per il primo, il secondo o il terzo forno; in tal modo si formava una lista per le infornate della giornata. Non mancavano i giovani aiutanti, che prelevavano il pane impastato dalle famiglie e lo ponevano su di una tavola lunga per poi trasportarlo, a spalla, al forno.

Nel forno le tavole del pane venivano allineate in ordine di arrivo su staffe di legno fissate nel muro. Il pane assumeva varie forme a piacimento delle donne; veniva tagliato sulla superficie per facilitarne la cottura, timbrato con lo stampo che riportava le iniziali della famiglia a cui il pane apparteneva, oppure contrassegnato con la pasta stessa; in seguito veniva spolverato dal fornaio con spazzole delicate di piume di gallina per eliminare la farina in eccesso. Terminate queste operazioni, il pane era immesso nella bocca del forno, venivano effettuati diversi sondaggi per verificare lo stadio di cottura e, quando il pane era cotto, ancora fumante, veniva collocato sulla tavola, pronto per essere trasportato dagli aiutanti fornai a casa dei legittimi proprietari.

Il profumo del pane appena sfornato si diffondeva nell'aria di tutto il rione. La bontà di quel pane derivava anche dalla particolare preparazione, conservazione e uso del lievito naturale, che in ogni famiglia si rinnovava senza interruzione e si custodiva in un vaso di terracotta come una preziosa reliquia. Il costo del servizio prestato dal fornaio dipendeva dal numero dei pezzi di pane e dal numero delle focacce infornate. Il pagamento avveniva alla consegna del pane o a distanza di qualche giorno, a fiducia del fornaio.

Una particolare focaccia gravinese era u rùcchele de jnte o chetture, condito con abbondante olio e pomodorini. Durante il periodo di carnevale a Gravina c'era l'usanza di preparare la cosiddetta pignata, la pignôte, un tegame di terracotta contenente carne di pecora, cipolla, sedano e aromi vari, chiusa ermeticamente con la pasta di pane e infornata.
Durante le festività pasquali il forno si riempiva di taralli, biscotti, sasanelli e scarcédde per i bambini. I sasanelli sono dolci specifici originari delle contrade di Gravina, a base di farina, zucchero, vincotto, - u mjierecûtte - buccia di arancia grattugiata, cannella, chiodi di garofano e cacao. Alcuni usano ricoprirlidi un sottile strato di mandorle o con uvetta sultanina all'interno; sono dolci caserecci dal colore marrone che tutte le famiglie di ogni ceto preparavano in occasione delle feste o per i matrimoni.

C'erano numerosi forni a legna dislocati nel centro storico e nella periferia del paese. Ogni fornaio aveva la sua clientela, di solito rappresentata dagli abitanti della zona servita. Gli anziani ricordano i nomi di alcuni forni di Gravina: u furne de settantasette, u furne du Ualène, u furne de Marcelle, u furne de Peppìnucce, u furne a do porte, e tanti altri. La giornata del fornaio terminava con la pulizia del forno, con la raccolta e lo smaltimento della cenere e dei detriti prodotti dalla legna adoperata nonché della farina stessa che si spargeva sulla tavola o sul pavimento. La cenere spesso veniva ceduta a titolo gratuito agli ortolani, che la adoperavano per la concimazione dei terreni, oppure alle famiglie che la usavano come detersivo nel candeggio della biancheria durante le fasi del bucato, "la ressì".

Oggi, in maggioranza, i forni sono elettrici, ma qualche fornaio mantiene la tradizione dei forni a legna. E i clienti non mancano. Quando il benessere non era molto diffuso, nelle case dei più poveri si lasciava un pezzo di impasto per la focaccia che veniva consegnata o portata dal fornaio per farla cuocere alla chianca, cioè senz' olio che era un prodotto prezioso e da centellinare. Il fornaio di fiducia, però, provvedeva per così dire a condividere l'olio delle focacce in eccesso tra i vari tegami preparati all' asciutto. A volte, "rimediava" un po' di pasta da più parti ad uso e consumo personale.

Anche Enrico Corrado (1934 - 2011) è stato un fornaio di quelli con la tavola di legno sulla spalla, ma si scrollò di dosso quella grande fatica emigrando in Germania già dal 1960, subito dopo la festa di San Michele. Si convertì all'arte, diventando prima pittore e poi scrittore. Negli ultimi anni ha vissuto in Toscana e, nonostante il lungo tempo trascorso dall'emigrazione, non dimenticò mai i luoghi dell'infanzia e quell'antico mestiere. Potremmo dire che il corpo si liberò dal peso di un lavoro umile e gravoso ma la mente e il cuore conservarono immutato un dolce sentimento nei confronti della società del dopoguerra. Il suo lo considerava un mestiere strano, che non ha lasciato la benché minima traccia sulle abitudini del paese, anche se è esistito fino a tutti gli anni settanta. Non doveva usare semplicemente le mani, la forza delle braccia, la pienezza delle spalle per svolgere il suo compito. Doveva urlare fino al cielo, nel cuore della notte, per farsi sentire dalle donne di casa che avevano impastato il pane o stavano per farlo. Dopo il primo giro per le vie del quartiere, il fornaio tornava al suo forno per accendere la legna secca sistemata a un lato del piano cottura. Dopo un'oretta si formavano i carboni, quindi il fornaio chiudeva il forno con lo sportello di ferro. Corrado contava da cento a centocinquanta clienti, delle quali conosceva il nome, che doveva chiamare gridando ogni volta che faceva il giro, prima per raccogliere le prenotazioni e poi per ritirare i panetti da infornare.

A lavorare nel forno c'erano operai con compiti diversi: il trasportatore, u carresciatöre, e l'infornatore u mburnatöre. Quest'ultimo doveva essere molto abile nel dosare la legna scegliendo i pezzi e doveva tenere sott'occhio la colorazione del forno, per individuare il momento in cui infornare le focacce o i tegami di terracotta contenenti le gustose pietanze preparate dalle massaie. Il pane richiedeva all'incirca un'ora per cuocersi. Il pane appena uscito dal forno veniva allineato sulle tavole per essere consegnato a domicilio e, contemporaneamente, si ritirava quello crudo pronto per la seconda infornata. Intanto bisognava provvedere ad incassare il prezzo sia alla consegna sia, talvolta, di domenica a causa di signore non sempre puntuali nei pagamenti. Alcune di loro addirittura non si facevano trovare o si nascondevano chissà dove per evitare di incontrare il fornaio. Era, insomma, una fatica che logorava sia il fisico che lo spirito. Una fatica inumana che spesso portava i fornai a rinfrancarsi con un bicchiere di vino, forse troppi bicchieri di vino, quasi fosse per loro un passaggio obbligato.

Fonte:
Libro di Michele Gismundo - Giuseppe Marrulli, MESTIERI E SOCIETA' nel Novecento a Gravina in Puglia, ed. Algramà, Matera 2023. Immagine di un antico fornaio di Gravina in Puglia.
  • Michele Gismundo
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